John Keats
La Vigilia di San Marco
Cadeva di Sabato, e così
Due volte sacra era la campana
Che chiamava la gente alla preghiera della sera.
Le strade della città erano limpide e pulite
Dai rovesci salubri delle piogge d’Aprile,
E sulle finestre volte a Occidente
Il tramonto gelato raccontava storie
Evanescenti di valli fredde e spoglie
Di verdi siepi spinose, senza fiori,
Di torrenti nuovi, carichi di giunchi primaverili,
Di primule sulle sponde di ruscelli ripesati,
Di margherite su colline febbrili.
Due volte sacra era la campana de Sabato:
Le strade silenziose erano piene
Di gente a gruppi, composta e pia,
Che ancora calda delle preghiere dette accanto al focolare,
Si recava con aria umile
Al canto e al vespro della sera.
Ogni portico arcuato, ogni bassa entrata
Di gente lenta e paziente era gremita,
Che sussurrando bisbigliava e strascicava i piedi
Mente l’organo suonava, dolce e solenne.
Tacquero le campane, iniziarono le preghiere:
Bertha non era ancora arrivata
A metà d’uno strano volume, rappezzato e consunto,
Che per tutta la giornata, fin dal mattino,
L’aveva imprigionata
Tra i suoi fregi d’oro,
E che con mille immagini l’aveva turbata-
Le stelle dei cielo e le ali degli angeli,
I martiri, in ardente splendore,
I santi celesti tra i raggi d’argento,
La corazza d’Aronne e i sette candelabri
Che in cielo vide Giovanni,
Il leone alato di San Marco
E l’arca del Signore
Coi suoi mille misteri,
I cherubini e i topi d’oro.
Era una bella fanciulla Bertha,
Che abitava nella vecchia piazza della cattedrale
E che dal suo posto, accanto al focolare,
Oltre l’antico splendore poteva guardare
Sino al muro del giardino del Vescovo,
Dove i sicomori e gli alti olmi,
Mai riarsi dall’acre tramontana
Perché riparati dalla pesante mole,
Coperti s’eran di foglie prima di quelli della foresta lontana.
Bertha si alzò, lesse un poco,
Con la fronte appoggiata alla finestra
Tentò ancora, e poi ancona,
Finché il buio la lasciò all’oscuro
Della leggenda di San Marco
Dal colletto pieghettato, esile e bella,
Il soffice caldo mento alzò,
Con gli occhi umidi e il collo dolente,
Sbalordita dalla immagini sante.
Tutto era tenebra, tutto silenzio,
Rotto solo dal passo fermo
Di chi lento tornava a casa camminando
Sotto il vuoto acro echeggiante della cattedrale.
Le cornacchie rumorosa, che tutto il giorno
Sulle cime degli alberi giocano e delle torri,
A coppie erano andate a riposare
Nei vecchi nidi del campanile,
Dove lente campane al suono gentile.
Tutto era buio, tutto silenzio
Intorno e nella quieta stanza.
Si sedette la povera anima illusa,
E una lampada accese con nero carbone:
Si sporge in avanti confusa,
I chiari capelli indietro ripone
E il libro inchina verso la luce diffusa.
La sua ombra, in quella disagiata guisa,
Oscillava gigantesca tra le vecchie sedie di quercia
E sulle travi del soffitto s’era affissa,
Sulla gabbia del pappagallo e sul caldo paravento invernale,
Dove dipinte erano molte creature strane,
Colombe del Siam, topi di Lima,
Uccelli del paradiso senza pelliccia.
Instancabile leggeva, e la sua ombra
Intorno incombeva e riempiva
La stanza di forme e disegni selvaggi,
Come se una spettrale dama di picche
Fosse venuta a far beffe dietro le spalle
E danzando agitasse le sue nere vesti.
Instancabile leggeva la leggenda
Del Santo March. dalla giovinezza alla vecchiaia,
Su terra, per mare, tra catene pagane,
Sempre lieto dei propri tormenti.
A volte l’erudito eremita
Con stelle dorate o deghe lucenti
Rimandava a versi remoti
Scritti con penna di cornacchia
Ai piedi del testo, così la
Rima ogni tanto si spezzava:
“Scrive anche del sogni
Che gli uomini hanno prima di destarsi felici,
Quando i loro amici il credono legati
In ripiegati sudari sottoterra;
E come un bambino
Può esser santo prima ancora di nascere.
Se la madre, Dio la benedica
Si mantiene in solitudine
E devotamente bacia la santa croce.
Dell’amore di Dio, della forza di Satana
Egli scrive, e di molte altre cose ancora
Delle quali non posso parlare
Ma devo dire in verità
Qualcosa di Santa Cecilia
E soprattutto quello che scrive
Della vita e della morte di San Marco”.
Arrivano infine le sue palerei pazienti
Al fervente martirio
Poi alla sacra tomba,
E si esaltano al bagliore
Delle candele a Venezia.